| La Poiana che ho visto |
Sorpresa dalla pioggia sulla via di casa, mi sono riparata prima sotto il tendone di un negozio e poi dentro ad una delle biblioteche di Harvard. Ho aspettato che spiovesse e poi sono corsa verso casa, prima che arrivasse il prossimo scroscio, o "shower", come dicono qui. Ho preso una scorciatoia, tagliando per il cortile interno del Radcliff Institute, e là davanti ai miei occhi increduli, un pezzo di natura si è rivelato: un rapace tratteneva tra le sue zampacce gialle e nere un povero topo agonizzante. Anziché alzarsi in volo, la poiana dalla coda bianca (come ho scoperto poi cercando su Google) è rimasta in mezzo alla strada a fissarmi. Non ho potuto trattenere un grido: il povero topo era ancora vivo e tentava di divincolarsi, invano. Io e la poiana ci siamo guardate negli occhi, io non riuscivo a muovermi, così si è mossa lei. Ha fatto due balzelli ed è salita sui gradini di una scalinata. Io mi sono avvicinata, ma non riuscivo ad andarmene: non avevo mai visto una poiana così da vicino ed ero anche un po' schifata dal topo, che non rinunciava a lottare per la sua vita. Così, vendendomi dubbiosa, la poiana ha fatto ancora qualche gradino, frantumando la testa del topo e lasciando i suoi intestini a rotolare sui gradini. A quella vista sono corsa via, davvero schifata. Sulle scale c'è ancora il sangue del povero topo. In altre occasioni avrei fatto il tifo per la poiana: chi mai simpatizza con i topi? Ma in quel momento, il topo aveva tutta la mia compassione.
Tornando a casa non ho potuto fare a meno di immaginare la poiana portare il topo dalle sue amiche poiane e, condividendo il loro buon pranzetto, ridere di quell'umana imbecille che continuava a fissare e non capiva di doversi togliere di mezzo...
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